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Autogoverno

Dai Vespri siciliani all'alba dell'autogoverno

  • Autore: A cura di Marco Lo Dico, Movimento Siciliani Liberi - 30 marzo 2023

Il 30 marzo 1282 per la Sicilia è una ricorrenza simbolica di grande significato. Quel giorno lontano i Siciliani cacciarono gli Angioini, un potere estraneo al proprio territorio, ma non sarebbe stata l'ultima rivolta. Il ricordo di quel moto di ribellione è rimasto come simbolo di una speranza di emancipazione per il popolo della Sicilia, un simbolo che ha ispirato artisti, intellettuali, filosofi e politici, ogni volta che è stato necessario lottare per la propria autodeterminazione.

Non è quindi folklore, non è solo un lontano passato, non è una rivendicazione astorica, non è una nostalgia indipendentista fatta solo di parole che non costano nulla.

Oggi, in questo XXI secolo, la Sicilia è ancora subalterna e in uno stato coloniale di dipendenza, nonostante costituzionalmente dovrebbe godere di un'Autonomia Speciale riconosciuta e non concessa, essendo precedente alla Costituzione stessa e alla nascita della stessa Repubblica Italiana cui dovrebbe essere considerata confederata.

La Sicilia, come ogni altro territorio e ogni altro popolo della Terra, oggi si trova nel mezzo di un cambiamento epocale, che riguarda l'intera umanità.

Le contrapposizioni classiche (destra/sinistra, est/ovest, cultura occidentale/cultura orientale, nord/sud) sono superate. Nella globalizzazione il potere e le ricchezze si vanno concentrando sempre più in mano a pochi e il fatto che alcuni di questi pochi si proclamino “buoni”, non li rende affatto più rassicuranti dei “cattivi”.

I poteri centralisti e autoritari, ingigantiti dal loro predominio sul mercato mondiale e rafforzati dalle loro tecnologie di sorveglianza universale, indipendentemente da quali siano le ideologie che li ispirano, sono semplicemente disumani (demoniaci, direbbe Romano Guardini).

Il senso di insicurezza e di impotenza delle persone comuni, delle famiglie, delle piccole imprese e delle comunità locali è pervasivo e paralizza ogni forma di reazione. Ed è dalla rete di relazioni e da una presa di coscienza comunitaria che si deve trovare la forza di reagire e creare il modo di ridisegnare e riprogettare il nuovo mondo non secondo un “nuovo ordine”, ma a partire dalle comunità, che sono invece antiche, ma parte viva della storia siciliana e, in definitiva, della storia di ogni popolo.

Le narcomafie, i ministeri italiani, la tecnocrazia europea, le multinazionali, le agende globali, indipendentemente dalla loro “moralità/amoralità” sono grandi macchine livellatrici, che vogliono appiattire e cancellare identità, diversità, eredità, spiritualità, in una parola: l'insopprimibile diversità, che rende umano l'uomo e provvidenziale la natura.

Il Vespro siciliano, oggi, è parte di una rivolta globale, decentralista e territorialista, perché solo con la moltiplicazione di una miriade di democrazie locali sempre più forti, competenti, sovrane, si potranno fermare le grandi macchine livellatrici, portatrici di omologazione, distruzione ambientale, disumanizzazione (o peggio, transumanizzazione).

Oggi, più di sempre, l'autogoverno del proprio territorio è l'unico modo per comunità responsabilmente coese di fare la differenza, rispetto al destino miserevole che viene riservato dalla globalizzazione a tutte le sue periferie.

In un tempo di crisi e di impoverimento, in cui i media globali ci stordiscono con il loro pensiero unico, in cui le grandi potenze ci tengono perennemente in guerra, in cui le tecnocrazie ci raccontano che stiamo passando da una emergenza all'altra (per cui c'è sempre bisogno di loro...), che un nuovo Vespro si animi, qui in Sicilia e ovunque.

    1. Contro i pregiudizi e per restituire significato alle parole

Il Forum 2043 sta mobilitando attivisti e intellettuali di una vasta area civica e ambientalista, impegnata per l’autogoverno dei propri territori, smontando le narrazioni che cercano di allontanare i cittadini dalla necessità di auto-organizzarsi politicamente, dal basso, rovesciando le piramidi di partiti e partitini centralisti, autoritari, settari.

Pur da posizioni ideali diverse, le diverse sensibilità nell’autogoverno del territorio devono contribuire all’insieme di tasselli e varietà che compongono il mosaico della storia dell’uomo e della sua “umanità”.

La narrazione sulla “mala gestio” locale, per esempio, viene alimentata dalle effettive perversioni del clientelismo. Eppure cosa è il clientelismo, se non la rinuncia programmatica e pragmatica alla responsabilità dell’autogoverno? Il clientelismo distrugge interi territori, come la nostra Sicilia, proprio quando questi territori, invece che raccogliere e gestire responsabilmente in autonomia le loro risorse, ne ricevono da altri poteri.

La globalizzazione non garantisce affatto “maggiori opportunità”, ma la certezza che per ogni vincitore ci saranno milioni di sconfitti. Il successo di ogni singolo e gigantesco attore della globalizzazione, del grande “produttore mondiale”, comporta la rovina per tutti gli altri. Il fiorire di alcune capitali economiche planetarie comporta la desertificazione di tutti gli altri territori. Una globalizzazione che spogli, però, i territori, le comunità, le persone della loro capacità di provvedere a se stesse, non potrà che trasformarsi in un regime, o essere percepita come tale.

La realtà ci sta dimostrando, attraverso gli squilibri crescenti all’interno del mercato comune europeo e del mercato globale, che non c’è economia locale e amministrazione locale dei beni comuni e di tutti i servizi pubblici, senza istituzioni di autogoverno.

Mai come oggi, quindi, le persone, territorio per territorio, devono sentire l’urgenza di assumersi la responsabilità di autogestirsi.

La Sicilia è, come è, un antico e ancora vivo paese d’Europa. Presto, anche grazie ai Siciliani, coloro che hanno immaginato di imporre un unico regime economico, fiscale, giuridico alla Baviera, al Salento, alla Sicilia stessa, saranno messi di fronte alla loro follia.

Allontanando sempre più poteri e risorse dai territori, non si crea alcuna efficienza, ma solo il moltiplicarsi di norme astratte, di imposizioni incomprensibili, di un senso di esclusione delle persone dalla responsabilità del proprio futuro.

Stiamo reagendo a questa globalizzazione (e a quella forma di globalizzazione in sedicesimo ma più intensiva che è la “europeizzazione”), attraverso la riscoperta delle diversità e delle identità.

Alcune parole, nella nostra storia e nel nostro impegno politico, sono importanti e devono essere restituite al loro significato migliore:

- anticolonialismo: la Sicilia è entrata nella modernità come una colonia interna, prima del Regno di Napoli, poi dei Savoia, poi del sistema euro-atlantico, un domani chissà; i valori e i fatti della resistenza al colonialismo interno all’Italia e poi all’Unione Europea devono essere studiati, compresi e infine trasformati in una resistenza e in una rinascita (su questo lavora da anni il prof. Massimo Costa);

- indipendentismo: una parola con una storia nobile, una speranza che, con il crollo delle menzogne e dell’oppressione fasciste, nella Sicilia fu abbracciata da un vasto movimento popolare; l’indipendentismo fu rappresentato nella Costituente della nuova Repubblica da figure come quella di Andrea Finocchiaro Aprile; l’indipendentismo, insieme e non contro i rappresentanti degli altri territori del crollato Regno sabaudo, raccogliendo le sfide poste dalla Carta di Chivasso, arrivò a stringere un patto confederale fra la nuova Repubblica Italiana e la nuova Regione Siciliana; il fatto che questo patto, e lo Statuto speciale che lo custodiva, siano stati traditi, o che nel tempo i movimenti indipendentisti siano stati ridotti a fenomeno marginale e parolaio, non ne diminuisce in alcun modo il valore sia storico che di aspirazione per le generazioni future; tutti i territori, nella globalizzazione, devono aspirare a essere sempre meno dipendenti, pur nella umana e planetaria interdipendenza;

- nazionalismo: altra parola che sappiamo essere, almeno dai tempi di Tom Nairn ma per molti aspetti sin dall’Ottocento, sempre scivolosa e ambigua; negativa quando viene sposata dai capi di uno stato grosso che distrugge i popoli che vivono al suo interno, o addirittura quelli vicini; positiva e spesso nobile, quando si lega al sentimento identitario dalle piccole nazioni e nazionalità che non vogliono essere cancellate; nelle piccole nazioni o nei territori ancora privi di una statualità o di istituzioni di autogoverno, peraltro, il nazionalismo non deve mai diventare esclusivo e divisivo, ma deve essere la storia politica di un identitarismo maturo, di un impegno contemporaneo per il decentralismo e per l’autogoverno di tutti e dappertutto, per conservare radici, interessi e valori, attaccamento alla propria terra, senza mai cedere alle lusinghe di chi ci vuole senza patria (senza “matria”), senza identità, senza legami, senza responsabilità, transumani o, in fondo, subumani, invece che umani.

 

    1. Per un processo di sempre minore dipendenza

Il Movimento Siciliani Liberi, soprattutto attraverso la formazione di una nuova generazione di giovani leader locali competenti e diligenti, si offre come luogo di ricomposizione di tante divisioni e come punto di incontro fra diversità, per attivare un processo virtuoso di sempre minore dipendenza della Sicilia.

I temi e i progetti concreti che difendiamo sulla scena dell’attualità politica siciliana e italiana sono noti e più urgenti che mai, a partire dal ritorno allo Statuto, alla sua piena attuazione, con alcuni corollari che sono la Zona Economica Speciale Integrale (compatibile anche con l’attuale rigido assetto dei Trattati europei) e il traguardo storico della territorializzazione delle imposte.

Tuttavia questo non è sufficiente.

Sappiamo di essere in una emergenza ambientale e che quasi tutto nella nostra economia dovrà tornare a essere sostenibile e compatibile con la salvaguardia del creato.

Non vogliamo che la cosiddetta “transizione” avvenga secondo canoni imposti da poteri anonimi e lontani, centralisti e autoritari, che si travestono di verde, propugnando un ambientalismo posticcio e mediaticamente spendibile. Un vero ecologismo non può costruirsi creando altra povertà, altre migrazioni, altre infelicità. Le istituzioni della Sicilia, il Parlamento della Sicilia, devono contare qualcosa, perché è in esse che le persone che vivono in Sicilia possono sentire di poter fare la differenza.

L’azione comunitaria dal basso dei cittadini siciliani, attraverso istituzioni di autogoverno in ciascuno dei nostri territori e nella nostra intera Isola, può davvero realizzare percorsi di indipendenza energetica, di autosufficienza alimentare, di conservazione dell’acqua buona come bene comune, di protezione del nostro patrimonio naturale e culturale per le generazioni future. Questo è indipendentismo, oggi, nel XXI secolo.

Sicuramente noi siamo una parte, anzi siamo una minoranza nella nostra stessa terra.

Tuttavia, in un mondo globalizzato, nell’Unione Europea, nella attuale Repubblica Italiana, le minoranze possono costruire solidarietà interterritoriali e intersezionali, per aiutarsi vicendevolmente a ridare voce e in prospettiva potere alle comunità, a tanti “noi”, non al’ “io” dei tardoliberisti. Nuovi traguardi di autogoverno, insieme, sono possibili per il bene comune con il protagonismo di molti e non di pochi, nell’interesse di tutti i viventi e delle prossime generazioni.

Crediamo nella solidarietà fra diversi, per costruire lotte di popoli, attaccati ai loro paesi, contro le élite avide e cieche della globalizzazione.

Crediamo nella sovranità come capacità di resistere insieme, governati e governanti loro prossimi, alle attuali dinamiche distruttive che dominano il mondo, con esiti genocidi (scomparsa di lingue e culture, come la nostra siciliana) ed ecocidi (lo sterminio di innumerevoli specie viventi e l’immissione su scala megaindustriale di veleni nell’ambiente).

Tutti gli esseri umani vogliono essere LIBERI, ma per essere liberi bisogna essere onesti gli uni con gli altri e leali! Capaci di vivere e autogovernarsi, INSIEME, territorio per territorio. Così si è liberi e responsabili, e solo così, andrebbe aggiunto senza sposare toni apocalittici, si resta vivi e si tramanda ciò che siamo alle generazioni future.

Sappiamo che la situazione è grave, a causa degli eccessi di centralismo autoritario, e avvertiamo un senso di emergenza, ma non da soli, in quanto Siciliani, ma insieme ai Sardi, ai Toscani, ai Friulani, a mille altre nazioni e comunità del pianeta.

Per questo siamo in Autonomie e Ambiente e lavoriamo per una nuova stagione di azione politica con EFA (la nostra famiglia politica europea: l’Alleanza Libera Europea), con cui parteciperemo alle prossime elezioni europee del 2024 e anche ad altre competizioni elettorali interterritoriali.

Con umiltà, ma con coraggio, vogliamo contribuire a un rinnovato decentralismo internazionale, contro tutti gli irredentismi, i colonialismi, gli imperialismi, per la pace.

Palermo, giovedì 30 marzo 2023

a cura di Marco Lo Dico - Movimento Siciliani Liberi

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Festa dell'autogoverno a Montecopiolo

Ieri, sabato 7 agosto 2021, siamo stati invitati a una bella festa a Villagrande di Montecopiolo. Siamo stati ospiti del Comitato per Montecopiolo e Sassofeltrio in E.-Romagna, che hanno raggiunto quest'anno, dopo 14 anni di lotte, il risultato di essere spostati, a norma dell'art. 132 della Costituzione, dalla regione Marche alla regione Emilia-Romagna.

Tutte le forze di Autonomie e Ambiente, insieme al senatore Albert Lanièce della Union Valdôtaine, hanno contribuito negli ultimi due anni, a questa battaglia per il rispetto della Costituzione e dell'autogoverno delle popolazioni locali.

La forza sorella Movimento per l'Autonomia della Romagna (MAR), in particolare, è stata al fianco di queste comunità romagnole che hanno dovuto aspettare così tanto per riunirsi alla loro terra.

Nel corso del pranzo, ha tenuto un piccolo ma denso discorso uno storico dirigente del MAR, il dottor Riccardo Chiesa, che ha ricordato come quella di Montecopiolo e Sassofeltrio sia stata una battaglia di autodeterminazione. E' stata l'espressione di storica e potente tendenza delle popolazioni, tutte e dappertutto, a pretendere l'ultima parola non solo su chi le governa e come, ma anche dove si è governati e quanto distanti, o piuttosto vicini, debbano essere quelli che ci governano. Evocando la poesia di Aldo Spallucci, il dottor Chiesa, ha ricordato che è stata una lotta ma anche un momento di gioia e di unità popolare. Proprio in una terra che è stata divisa da pulsioni ideologiche vigorose, è tempo per i Romagnoli di abbassare i vessilli che dividono e di innalzare insieme la bandiera unitaria e gioiosa dell'autodeterminazione, per il bene delle generazioni future.

Era presente come ospite alla festa l'architetto Francesco Frattolin, friulano di San Michele al Tagliamento, che è stato uno dei pionieri dell'attivismo delle comunità locali per poter correggere i confini inappropriati, che non rispettano la storia o non sono più confacenti alla situazione sociale ed economica contemporanea. Francolin si è meritato, per il suo apporto alla causa del passaggio in Romagna dei comuni della Vamarecchia, la cittadinanza onoraria di Sant'Agata Feltria. Ci ripromettiamo di fare insieme a lui degli approfondimenti sulla situazione di almeno un'altra ventina di territori che, in questa Repubblica, attendono una risposta alle loro richieste di aggiornamento dei confini amministrativi.

Nelle foto che alleghiamo per documentare il gioioso evento potete riconoscere, tra gli altri, Antonio D'Agostino e Davide Severini (attivisti di punta della lotta che ha riportato Montecopiolo e Sassofeltrio in Romagna), (Serafina Lorenzi (presidente del Comitato che ha riportato in Romagna i due comuni), Samuele Albonetti (coordinatore del MAR), Giovanni Poggiali (vicepresidente del MAR), Mauro Vaiani (dirigente del Comitato Libertà Toscana e segretario dell'assemblea di Autonomie e Ambiente).

20210807 img Montecopiolo Serafina WA0042

20210807 img Montecopiolo Allegria WA0044

 Approfondimenti:

https://www.facebook.com/groups/163391954539

 

Ignazio Marino per il Forum 2043

A pochi giorni dal nostro evento di Chivasso, ci onora di un contributo al Forum 2043 il prof. Ignazio Marino, noto medico e e politico, di tradizione cattolico-democratica, già senatore del PD (2008-2013). In Senato, in qualità di Presidente della Commissione d'Inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale chiuse la grave ferita dei Manicomi Criminali, grazie a un'indagine che fece scalpore in tutta la Repubblica. Venne eletto sindaco di Roma il 12 giugno 2013 con il 64% dei voti ma governò solo sino al 31 ottobre 2015. In 28 mesi alla guida di Roma, incarnò una breve stagione di buongoverno che fu prima denigrata sui media e infine bruscamente interrotta dalla miopia del suo stesso partito di allora. Dal 2016, il prof. Marino è tornato alla professione medica, alla ricerca scientifica e all’insegnamento accademico, alla Thomas Jefferson University di Filadelfia. Continua a contribuire al dibattito pubblico europeo, italiano e romano, attraverso i suoi interventi su vari media e con il suo sito https://www.ignaziomarino.it/.

Qui potete leggere il suo contributo al Forum 2043.

A cura del gruppo di studio del Forum 2043 - Filadelfia - Roma - Firenze, 11 dicembre 2023

"Chi amministra non deve agire secondo ciò che gli conviene in quel momento, ma deve creare una prospettiva per le generazioni future. Io pensavo alla Roma del 2030 e ai nostri figli, piuttosto che al consenso del 2014. Abbiamo camminato sulla strada giusta per la città e non su quella più facile." (Ignazio Marino)

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II Congresso nazionale Siciliani Liberi

Si è tenuto oggi, domenica 18 luglio 2021, il II Congresso nazionale del Movimento Siciliani Liberi, forza sorella di Autonomie e Ambiente. L'assise ha riunito in presenza e attraverso la rete i delegati eletti in tutti i distretti della Sicilia, attraverso una lunga e impegnativa stagione congressuale, che ha visto una grande partecipazione, in particolar modo giovanile.

Ciro Lomonte è stato rieletto segretario. A lui e a tutto il Movimento i nostri complimenti e i più sinceri auguri da parte di tutta la rete di Autonomie e Ambiente.

Per approfondire i contenuti del Congresso si visiti il link:

https://www.sicilianiliberi.org/2-congresso-nazionale/

Pubblichiamo qui un estratto della mozione con la quale Ciro Lomonte si è ripresentato al Congresso:

Bonu Statu e Libirtati!

I punti cardine del nostro progetto a breve

Attuazione integrale dello Statuto, con priorità alla parteeconomico-fnanziaria dello stesso: devoluzione agenzia delleentrate e di tutte le entrate maturate in Sicilia (salvo quantoserve allo Stato per la difesa, la rappresentanza diplomatica ela partecipazione al costo degli organi costituzionali centrali),fiscalità di vantaggio deliberata autonomamente dall’Assemblea Regionale Siciliana, perequazione infrastrutturale.

Sicilia Zona Economica Speciale Integrale (ZESI) da unpunto di vista doganale, fscale, fnanziario, compatibilmentecon quanto previsto dalTrattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Moneta fiscale complementare,per immettere liquidità nelmercato siciliano, favorire il consumo dei prodotti locali (Km 0)ed aumentare di conseguenza il gettito fiscale regionale.

Devoluzione integrale di tutta l’amministrazione pubblica,inclusa la Polizia, e con la sola esclusione delle Forze Armate,costituite tuttavia in comandi separati.

La Sicilia è la nostra Nazione

Uno degli aspetti più inquietanti della globalizzazione è la distruzione dell’identità dei popoli.Siciliani Liberi si caratterizzacome partito di raccolta dell’Identità Siciliana e su questo non deve esserci alcuna ambiguità.

Esso potrà trovare punti di convergenza, sul piano economico esociale, con le regioni vittime del colonialismo interno italiano, ma nonpotrà mai esserci alcuna confusione politica con il meridionalismo o con ilrevanscismo neo-borbonico. La Sicilia ha bisogno della sua voce distintanelle istituzioni, e non potrà andare al traino di alcuna forza nazionale italiana, mentre può e deve ragionevolmente disporre, sul piano tattico,quelle alleanze e trattative che saranno necessarie alla nostra causa.

La difesa della nostraNazione è anche e soprattutto un fatto culturale ed etnico. Noi, e purtroppo solo noi sicilianisti, difendiamo ilPopolosiciliano da sicura estinzione, per assimilazione di modelli culturali anonimi e globali, per mancata difesa dei nostri confni meridionali marittimi dalla destabilizzazione in atto, per la distruzione delle nostre famiglie, per losvuotamento dei centri rurali e montani.

A questo bisogna contrapporre una valorizzazione della nostra storia, dei nostri beni culturali, della nostra identità nazionale, paralizzata,quasi atrofzzata, dal 1816 ad oggi. Ma noi non vogliamo costruire unmodello diNazione Siciliana ripiegata solo sulla nostra tradizione, per quanto unica al mondo, ma innestarci in questa tradizione per renderlacreativa e proiettata nel mondo di oggi. Le nostre città e i nostri borghi, il nostro modello di società e di cultura, il nostro patrimonio linguistico, letterario, artistico, musicale, dovrà trovare uno speciale impulso. Mai piùmitologia delle “dominazioni” o di “luogo di incontro tra popoli ma senza identità propria”, ma – al contrario – “Civiltà siciliana”, nata dalla felice sintesi tra Occidente e Oriente unica al mondo.

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In ricordo di Michela Murgia

Ieri, 10 agosto 2023, Michela Murgia ci ha lasciato prematuramente. La scrittrice era nata a Cabras in Sardegna il 3 giugno 1972. Aveva parlato pubblicamente della gravità della sua malattia. L'autrice del romanzo "Accabadora" era una intellettuale impegnata su molti fronti delle autonomie personali, sociali, territoriali. Non c'era bisogno di essere sempre d'accordo con lei, per stimarla.

Per il nostro mondo civico, ambientalista, territorialista, Michela Murgia è stata una figura importante. Ha condotto una generosa campagna come candidata indipendentista alla presidenza della regione autonoma della Sardegna nelle elezioni del 16 febbraio 2014. Con un programma di innovativo autogoverno della sua terra, ottenne il 10,32% (76.000 voti).

Nel prezioso archivio di Radio Radicale c'è anche la registrazione della chiusura della sua campagna elettorale di quasi dieci anni fa: https://www.radioradicale.it/scheda/403661/elezioni-regionali-in-sardegna-chiusura-della-campagna-elettorale-di-michela-murgia.

 

 

La memoria lunga degli autonomisti

  • Autore: Piercesare Moreni, autonomista del Trentino, 2 aprile 2022

Proprio perché il nostro pensiero autonomista è necessario a una umanità globalmente minacciata da una massificazione disumanizzante, dobbiamo salvaguardare le nostre profonde radici e avere il coraggio di una memoria lunga.

Localismo, territorialismo, regionalismo, federalismo, confederalismo, anticolonialismo, indipendentismo, altro non sono stati che la declinazione graduata di comuni e universali aspirazioni all’autogoverno.

In Trentino prima della straordinaria primavera politica rappresentata dall’esperienza dell’ASAR (Associazione Studi Autonomistici Regionali) i primi movimenti autonomisti, come il CIT (Comitato per l’Indipendenza del Trentino) e il MST (Movimento Separatista Trentino), furono incubatori dai quali si svilupparono in modo meno velleitario le istanze di un mondo autonomista capace di buongoverno.

In Sicilia già nel 1942 venne costituito il Comitato per l’indipendenza della Sicilia, poi divenuto Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, ma l’autogoverno di cui dovrebbe godere la più grande isola del Mediterraneo è rimasto sulla carta.

Il Movimento Separatista Valdostano si schianta, a guerra ancora in corso, contro gli interessi internazionali che lo abbandonano al suo destino, anche se si salvano le intuizioni illuminate del notaio Émile Chanoux nel lavoro politico della Union Valdôtaine. La cultura dell'autogoverno, non solo per la Valle ma per ogni territorio, viene coltivata e proclamata dal toscano-friulano-valdostano Bruno Salvadori, che cerca un modo nuovo per raccontare a tutta Italia e a tutta Europa la straordinaria attualità di un modello cantonale ispirato alle istituzioni della Svizzera. Bruno Salvadori (nella foto commemorativa in alto) purtroppo muore prematuramente nel 1980, a soli 38 anni.

In Friuli la complessità della posizione geografica e geopolitica rese la proposta autonomista, se possibile, ancor più difficile che altrove: nonostante l’impegno autonomista risalga al 1945 con l’Associazione per l’Autonomia Friulana, l’autonomia speciale resta ancora insufficientemente attuata.

Trieste e la Venezia Giulia nel 1945 videro la nascita del Fronte dell’Indipendenza per il Libero Stato Giuliano, da cui si sono poi dipanati molti movimenti civici, alcuni anche di grande freschezza e lungimiranza, ma senza che ciò abbia fatto ancora maturare esperienze avanzate di autonomia politica.

In Sardegna, già alla sua costituzione nel 1921, il Partito Sardo d’Azione propugnava l’autodeterminazione dal Regno italiano; divenne un partito di massa e, fino a un certo punto, fu l’unica forza organizzata in grado di contrastare su quel territorio l’avvento del fascismo. A più riprese esponenti “sardisti” hanno governato, eppure l’autonomia speciale della Sardegna è un involcruo ancora semivuoto e l’isola è una nazione colonizzata e oppressa.

Napoli e la Campania, gli Abruzzi e il Molise, la Lucania e le Puglie, le Calabrie sono, dal tempo della conquista sabauda, sottoposte alla continua estrazione di risorse tipica di ogni forma di colonialismo interno.

Le aspirazioni autonomiste in ogni altro territorio della Repubblica, pur abbracciate da prestigiosi costituenti - fra gli altri, Giulio Bordon, Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Andrea Finocchiaro Aprile, Emilio Lussu, Aldo Spallicci, Tiziano Tessitori - e anche da molti esponenti locali delle principali forze politiche popolari, sono rimaste compresse dalla “ragion di stato” e dalle leggi ferree della partitocrazia romanocentrica.

I nostri movimenti, sin dall’immediato dopoguerra, subiscono le conseguenze della guerra fredda e l’azione repressiva congiunta di servizi segreti statali e internazionali, la polarizzazione del dibattito politico fra atlantisti e comunisti, la sopravvivenza nello stato repubblicano del centralismo autoritario dello stato fascista (a sua volta continuazione diretta dell’autoritarismo sabaudo), il ruolo mai marginale del centralismo pontificio nella Chiesa cattolica; tuttavia abbiamo contribuito alla stesura di una Costituzione che consente una Repubblica delle autonomie personali, sociali, territoriali e sulla difesa di essa è nostro compito storico e intergenerazionale essere inflessibili.

Tempus fugit irreparabilis: l’apparente immobilismo istituzionale e politico degli ultimi quarant’anni, nella Repubblica italiana, nell’Unione Europea, nelle istituzioni della globalizzazione, non è mai stato neutrale. Stiamo scivolando lentamente ma inesorabilmente verso una distopia centralista tecnocratica. Siamo stati avvertiti, dai padri e dalle madri dell’autonomismo e, in tempi più recenti, da grandi figure del nostro tempo, come il grande poeta friulano e italiano Pier Paolo Pasolini, che ci ha messo in guardia dall’avvento del “tecnofascismo”; tocca a noi, spes contra spem, fare la nostra parte.

Trento - Firenze, 2 aprile 2022 - A cura di Piercesare Moreni, autonomista trentino, e di altri studiosi autonomisti del Forum 2043

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Per autonomie che facciano crescere altre autonomie

  • Autore: Geremia Gios, autonomista trentino - 13 marzo 2023

Riprendiamo, con minimi adattamenti al contesto delnostroForum 2043, l’intervento che Geremia Gios hagiàpubblicato su Il Nuovo Trentino (di domenica 12 marzo 2023). Gios è professore di agraria ed è stato sindaco di Vallarsa (TN): https://www.iltrentinonuovo.it/index.php/author/geremia/ - (per la foto di Geremia Gios si ringrazia il sito https://www.territoriocheresiste.it/)

 

La possibilità di attivare la cosiddetta “autonomia differenziatanelleregioni a statuto ordinario ha riacceso il dibattito attorno all’autonomia trentinae in definitiva attorno all’autonomia di tutti i territori.

Al fine di portare un contributo ritengo sia opportuno partire da una considerazione sull’autonomia in generale.

Per autonomia si può intendere la possibilità di determinate comunità di organizzarsi, all’interno di linee guida o normative di carattere generale, in maniera diversa da quella di altre comunità.

Un mondo globalizzato, condizionato dal prevalere della componente finanziaria difficilmente può lasciare spazio all’autonomia (se non a quella della finanza medesima). L’attività finanziaria sfrutta le economie di scala (più si è grandi più si può guadagnare), ma questo è possibile se ci si sono visioni del mondo, obiettivi, consumi, comportamenti uniformi. L’uniformità facilità la rapidità nel trasferimento dei capitali e, quindi, la possibilità di fare profitti. Del resto ancora gli antichi romani dicevanopecunia non olet. Tale detto si potrebbe tradurre in linguaggio moderno come: i capitali sono tutti ugualmente profittevoli, indipendentemente dal luogo, dalle modalità di impiego, dalle attività che gli hanno generati. Per la grande finanza che frequentemente riesce ad imporre, a livello centralestatale eanche attraverso istituzioni sovranazionali, regole che le sono favorevoli, avere a che fare con specificità locali comporta aumento di costi, perdita di opportunità, minori guadagni. In questo scenario le autonomie non servono anzi sono dannose.

Il mondo naturale, al contrario, è il regno della diversità ossia di modalità autonome e differenziate dei diversi organismi di organizzarsi in associazioni diverse tra loro. Prendiamo ad esempio le piante. La capacità di trasformare la luce in energia utilizzabile si basa su meccanismi assai simili nella maggior parte delle piante, ma nonostante questo, una foresta tropicale, la macchia mediterranea, la foresta alpina o la taiga siberiana sono assai diverse tra loro. Non serve essere botanici esperti per constatarlo: basta uno sguardo.

Nelle nostre valli basta considerare, con un po’ di attenzione, due versanti opposti di una stessa montagna per rendersi conto che la vegetazione che ricopre i medesimi è diversa. Perché? La risposta è, tutto sommato, semplice. Anche se le modalità di utilizzare la luce solare sono simili, ci sono differenze tra le tipologie di terreno, le necessità di acqua, l’intensità della luce, le temperature e molti altri componenti che servono per completare il ciclo vitale. Per poter utilizzare al meglio tutti i fattori disponibili sono necessarie non solo piante aventi caratteristiche diverse, ma anche associazioni differenti tra le medesime. Nel mondo vegetale capacità autonome e diversificate di organizzazione sono indispensabili. Siamo all’opposto di quanto chiesto dalla finanza.

Sotto il profilo sociale probabilmente siamo in una situazione intermedia tra mondo finanziario e mondo vegetale. Tutti gli uomini hanno pari dignità, ma unaorganizzazione economica e sociale che sia sostenibile, ossia possa durare nel tempo, deve potersi articolare in maniera diversa a livello locale In funzione delle esigenze differenti in contesti territoriali diversi.

In tale contesto parlare di autonomia significa riferirsi a regole che possono almeno in parte essere modificate da forme di autogoverno locale.

Limitiamoci a esaminare tre insiemi di regole, ognuno dei quali risulta efficace solo se applicato a beni o funzioni aventi certe caratteristiche e non altre. Tali insiemi - definibili anche come istituzioni o ordinamenti – sono: mercato, stato (o organizzazione gerarchica), gestione dei beni collettivi.

Senza approfondire, in questa sede le caratteristiche di queste istituzioni si può osservare che in relazione al problema delle autonomie mercato e stato possono funzionare, entro certi limiti, con regole che non hanno bisogno di articolazioni locali (e quindi di autonomie).

Tuttavia mercato e stato per poter durare nel tempo hanno bisogno, fra il resto, che vi sia tra la popolazione fiducia e senso di appartenenza. Senza la presenza di queste caratteristiche all’interno delle comunità interessate nessuna organizzazione (neppure lo stato o il mercato) può funzionare. Tuttavia fiducia e senso di appartenenza hanno le caratteristiche dei beni collettivi. Né lo stato né il mercato sono in grado di gestire questi beni. La fiducia, per esempio, non si può né comprare né imporre per legge.

Va riconosciuto che per avere fiducia e senso di appartenenza è necessario applicare linee guida proprie delle gestione dei beni collettivi che sono, ovviamente, diverse da quelle di stato e mercato. Tra i principi che è necessario rispettare nella logica della gestione dei beni collettivi vi è quello che in presenza di condizioni locali - sia ambientali sia sociali- specifiche deve essere data alle comunità locali la possibilità di organizzarsi in maniera autonoma.

Va da sé che la gestione della conoscenza necessaria per adottare decisioni corrette e condivise non può basarsi solo su informazioni accentrate come nel caso dell’organizzazione gerarchica (stato) o disperse come nel caso del mercato. Tra questi due livelli è indispensabile un livello intermedio che consenta di modificare localmente principi generali decisi altrove. Questo livello è il livello dell’autonomia.

Come sarebbe poco efficace cercare di riprodurre una foresta tropicale sulle Alpi così risulta controproducente voler applicare regole specifiche uniformi dalla Vetta d’Italia a Lampedusa.

In altri termini pensare che per gestire le comunità umane possono bastare il mercato (che organizza la conoscenza dispersa) e lo stato (che richiede conoscenze accentrate) è un errore drammatico. Un errore che porta da un lato ad una degenerazione burocratica – frutto del tentativo di controllare tutta la realtà – e, dall’altro a considerare elementi essenziali per la vita (quali ad esempio la solidarietà o molti beni ambientali) da non valutare perché privi di un “prezzo”.

Inconclusione,l’autonomia è una componente indispensabile non solo per le comunità chegiàne godono, ma per tutte le comunità. Al tempo stesso l’autonomia può durare solo se fa crescere al proprio interno e tra le comunità vicine altre autonomie. Solo chi, con sguardo miope, ritiene che autonomia significhi semplicementerivendicazione di“maggiori risorse” -invece che di maggiori responsabilità -può pensare il contrario.

L’attuazione di altre forme di autonomia, se perseguita con competenza e senza ipocrisie,non rappresenta, pertanto, un pericolo bensì uno stimolo per rivitalizzare l’autonomiadi tutti, compresa quella di cui il Trentino già gode.

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Per la Costituzione, non solo per la Romagna

 

Il Senato della Repubblica ha chiuso ieri, con un voto favorevole definitivo, il lunghissimo iter della legge per il passaggio dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche alla regione Emilia-Romagna, dalla provincia di Pesaro e Urbino alla provincia di Rimini.

I due comuni romagnoli avevano chiesto di tornare in Romagna nel 2007, con un referendum popolare organizzato ai sensi dell'art. 133 della Costituzione, dove la volontà popolare si era espressa in maniera schiacciante per il passaggio.

Montecopiolo è un comune di poco più di 1.000 abitanti, Sassofeltrio ha circa 1.300 abitanti. Il fatto che la volontà popolare di due comunità così piccole sia stata contrastata e repressa, oltraggiata e vilipesa, per quattordici anni, la dice lunga sulle condizioni in cui è ridotta la nostra Repubblica delle Autonomie.

Il voto del Senato, oltre che a essere stato finalmente rispettoso per le due comunità interessate e per la Romagna, salva la Costituzione, di cui si stavano calpestando principi indisponibili a chiunque.

Autonomie e Ambiente si congratula con il Comitato promotore del passaggio dei due comuni, che ha lavorato generosamente per tanti anni e ancora vigilerà perché nei vari passaggi amministrativi non si trascurino mai più gli interessi delle persone e delle comunità. Ringraziamo la forza sorella Movimento per l'Autonomia della Romagna per averci coinvolto e consentito di dare umilmente il nostro appoggio alla causa. Ringraziamo il sen. Albert Lanièce, della 'Union Valdôtaine (UV), per essersi sempre informato e interessato della vicenda.

L'opposizione, spesso con motivazioni opache e per assurde impuntature da parte dei partiti centralisti e autoritari, a simili correzioni dei confini amministrativi italiani (che spesso furono cambiati arbitrariamente sotto il fascismo) deve finire. Deve tornare a essere pienamente rispettata, ovunque, la volontà popolare, ovviamente informata e ponderata, espressa nelle dovute forme.

Chi non rispetta la democrazia e la Costituzione nelle piccole cose, non la rispetterà nelle situazioni più grandi, questo deve essere chiaro. Vigiliamo!

 

 

 

Per la pace fra Ucraina, Donbass, Federazione Russa

Autonomie e Ambiente condanna l'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa. Invoca l'immediato cessate il fuoco e l'apertura di una conferenza di pace e di ricostruzione.

Ci attestiamo sulla posizione espressa, sin da poche ore dopo l'inizio dell'invasione, da ALE-EFA, la nostra famiglia politica europea:

https://e-f-a.org/2022/02/24/efa-condemns-russias-military-intervention-in-ukraine-which-could-have-devastating-effects/

Ricordiamo le parole pronunciate dalla forza sorella Patto per l'Autonomia Friuli-Venezia Giulia, attraverso il proprio Gruppo consiliare regionale:

:https://www.pattoperlautonomia.eu/gruppo-consiliare/1046-invasione-russa-dell-ucraina

Facciamo nostre le preoccupazioni espresse dalla forza sorella Siciliani Liberi, alla vigilia dell'invasione:

https://www.sicilianiliberi.org/2022/02/23/siciliani-liberi-preoccupati-per-la-politica-aggressiva-della-nato/

Tutto può essere discusso e aggiornato, attraverso mezzi pacifici e democratici. Come autonomisti e decentralisti, noi sappiamo bene che tra le prime vittime della guerra ci sono, dopo la verità, le autonomie personali, sociali e territoriali.

Attraverso il dialogo e il compromesso, invece, tutto può cambiare, anche i confini.

La foto di corredo di questo post è un messaggio di pace condiviso in rete dal fotografo toscano Fulvio Bennati (in arte Benful). Si tratta di uno scatto preso in Toscana nel 2018, che evoca i colori dell'Ucraina. Ringraziamo di cuore l'artista e vi invitiamo a visitare il suo profilo Facebook:

https://www.facebook.com/fulvio.bennati/posts/10225112912124295

 

Per un governo responsabile di Roma

  • Autore: Ignazio R. Marino - Filadelfia, 11 dicembre 2023

Ci onora di un contributo al Forum 2043 il prof. Ignazio Marino, noto medico e politico, di tradizione cattolico-democratica, già senatore del PD (2008-2013). In Senato, in qualità di Presidente della Commissione d'Inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale chiuse la grave ferita dei Manicomi Criminali, grazie a un'indagine che fece scalpore in tutta la Repubblica. Venne eletto sindaco di Roma il 12 giugno 2013 con il 64% dei voti ma governò solo sino al 31 ottobre 2015. In 28 mesi alla guida di Roma, incarnò una breve stagione di buongoverno che fu prima denigrata sui media e infine bruscamente interrotta dalla miopia del suo stesso partito di allora. Dal 2016, il prof. Marino è tornato alla professione medica, alla ricerca scientifica e all’insegnamento accademico, alla Thomas Jefferson University di Filadelfia. Continua a contribuire al dibattito pubblico europeo, italiano e romano, attraverso i suoi interventi su vari media e con il suo sito https://www.ignaziomarino.it/.

 

PER UN GOVERNO RESPONSABILE DI ROMA

di Ignazio R. Marino

 

Roma potrebbe essere non solo una metropoli pienamente contemporanea, ma anche una capitale proiettata nel futuro. Occorre studiare dati, fatti e responsabilità. Anni fa scrissi un libro (Un marziano a Roma, Feltrinelli, 2016) cercando di proporre un'analisi esaustiva di queste mie convinzioni, da cui provo a estrarre alcuni spunti per il Forum 2043, dove si coltivano ideali di autogoverno responsabile che valgono per tutti i territori e per tutte le comunità locali.

Roma non è una metropoli ordinaria perché insieme a tutte le esigenze di una città moderna (trasporti, raccolta e smaltimento dei rifiuti, scuole, decoro urbano, sicurezza) ha anche la responsabilità di ospitare migliaia di grandi eventi laici e religiosi e il dovere di armonizzare la città storica e archeologica con la parte urbanizzata negli ultimi cento anni.

La città storica, quella visitata dai turisti e sede delle istituzioni, è un villaggio di centocinquantamila abitanti, ma Roma ha oltre quattro milioni di cittadini che necessitano dei servizi per una normale qualità di vita. È una città-regione e nell’evoluzione degli ordinamenti di una Repubblica formata da autonomie, il dibattito sul suo status anche istituzionale dovrebbe essere ben più lungimirante, per il bene dell’Urbe e dei suoi municipi.

Le gravi carenze nel settore dello smaltimento dei rifiuti e delle carenze nel trasporto pubblico possono essere esempi paradigmatici della questione romana ma anche delle reali possibilità di cambiamento. Non è un caso che esistano problemi come quelli dei rifiuti e dei trasporti. Sono il risultato di scelte precise.

Negli ultimi 60 anni si è accettato un monopolio privato dei rifiuti e si è rinunciato a dotare la città di impianti di proprietà pubblica con il risultato di favorire il monopolio privato. Così Roma, ancora oggi, non ha impianti di smaltimento e deve portare altrove le 5.000 tonnellate di rifiuti che produce ogni giorno.

Quando venni eletto Sindaco, nel giugno 2013, Roma aveva un triste primato mondiale: era la città con la più grande discarica del mondo: 240 ettari, un’area grande come 343 campi di calcio regolamentari. Immaginatevi una superficie ampia come quasi trecentocinquanta volte lo stadio Olimpico di Roma e colma di rifiuti. Nei periodi estivi, con tutti quei rifiuti in decomposizione l’area di Malagrotta diventava nauseabonda e l’intera montagna d’immondizia era visibile a chilometri di distanza dal volteggiare di decine di migliaia di gabbiani. Uno scenario infernale. L’enorme fossa era gestita da un singolo privato che dal 1974 al 2013 aveva accolto più di sessanta milioni di tonnellate di rifiuti. Così la pulizia della città di fatto dipendeva da una sola persona. Un’area enorme del territorio cittadino concessa da tutti i sindaci agli interessi di un solo monopolista privato. Pericolosa per la salute di un’intera comunità, ma anche in contrasto con gli ideali della difesa del nostro pianeta, secondo i quali i rifiuti devono rientrare nel ciclo produttivo come vetro, carta, cartone, metallo o essere utilizzati per creare fertilizzanti.

I profitti economici legati a una discarica di queste proporzioni erano tali che nessuna amministrazione precedente alla mia aveva mai voluto intervenire. Non si intervenne neppure quando l’Unione Europea aprì una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia perché aveva indicato come data ultimativa per la chiusura della discarica il 31 dicembre 2007.

Così accadde che Roma nei giudizi sui progetti di finanziamenti europei presentati scontava delle valutazioni negative a causa della procedura d’infrazione aperta proprio per la vicenda della discarica di Malagrotta. Inoltre, l’esistenza della discarica determinava anche un gravissimo ritardo nello studiare metodologie diverse per il trattamento dei rifiuti, che a Roma sono prodotti al ritmo di circa cinquemila tonnellate al giorno.

Quasi tutto, sino alla mia elezione, era gettato nella stessa discarica, dal materasso vecchio, alla radio della nonna che non funzionava più, agli scarti alimentari di casa e dei ristoranti, la cosiddetta frazione organica.

In altre parole, dal dopoguerra al 2013 non si era studiato un modello di gestione del ciclo dei rifiuti che potesse prescindere dalla discarica e trasformasse i rifiuti da problema a risorsa. E pensare che solo dalla frazione organica, che costituisce il trentacinque per cento dei rifiuti, cioè oltre mezzo milione di tonnellate ogni anno, con tecnologie avanzate di biodigestione si potrebbe produrre energia ben più pulita di quella derivante da buona parte delle fonti tradizionali, specialmente quelle fossili.

Potrebbe sembrare, quest'ultimo, un beneficio non particolarmente rilevante, ma non è così. Il drammatico discorso del 1 Dicembre 2023 pronunciato al COP 28 di Dubai dal Segretario Generale dell'ONU, António Guterres, risuona nella mia mente. La concentrazione di gas ad effetto serra in atmosfera ha recentemente superato le 417 parti per milione, soglia mai raggiunta in quasi un milione di anni di storia. Le evidenze scientifiche e l'aumento in intensità e frequenza degli eventi estremi già in atto in tutto il mondo comportano pertanto la necessità ineludibile di perseguire, ben prima della fine del secolo, una completa de-carbonizzazione energetica al fine di scongiurare gli effetti dei cambiamenti climatici. Un imperativo, una sfida, da cui nessun sindaco, governo o amministrazione locale responsabile può esimersi.

Un capitolo a parte meriterebbero poi le polveri sottili e la qualità dell’aria cittadina, problema non solo delle grandi città nei Paesi in via di sviluppo (abbiamo tutti presente lo smog che attanaglia città come Pechino) ma, con le dovute proporzioni, anche europeo: nel 2015 la Commissione Europea ha segnalato la presenza di procedure d’infrazione per i livelli di PM10 in 16 Paesi dell’Unione, tra cui l’Italia.

Non è un caso dunque che per rispondere ai problemi del cambiamento climatico e dell’inquinamento cittadino, distinti da un punto di vista fenomenologico ma con alcune cause in comune, diverse grandi città a livello internazionale stiano definendo e già cominciando ad attuare strategie ambiziose per l’ambiente e il clima basate su tre pilastri: la mitigazione, con la riduzione delle emissioni cittadine; l’adattamento, con la mappatura e la riduzione dei rischi, su tutti quelli idrogeologici; una gestione sostenibile dei rifiuti, che porti a massimizzarne il recupero ed il riciclo, minimizzando la quantità da smaltire in discarica.

La gestione del ciclo dei rifiuti indifferenziati a Roma si è storicamente caratterizzata per una marcata prevalenza, oltre l’ottanta per cento, del trasporto alla discarica, rispetto ad altre forme di destinazione. Esistendo la discarica di Roma, il ruolo industriale dell’azienda del Comune, l’AMA, è stato sempre residuale. Bastava limitarsi alla raccolta e al trasporto in discarica senza preoccuparsi di azioni più intelligenti come il recupero della carta, del cartone o dei metalli e del vetro affinché fossero immessi nuovamente nel ciclo industriale. Tutto in una buca e punto.

Dieci anni fa, nel 2013, AMA, l’azienda della nettezza urbana di Roma, era il più grande operatore in Italia nella gestione integrata dei servizi ambientali, con circa ottomila dipendenti, ma con soli due impianti di selezione e trattamento dei rifiuti urbani, un impianto di compostaggio, un termovalorizzatore destinato solo ai rifiuti sanitari, due impianti di valorizzazione della raccolta differenziata. La chiusura della discarica di Malagrotta ha determinato un cambiamento storico nella gestione dei rifiuti di Roma.

Nel corso dei miei 28 mesi di governo la quantità di raccolta differenziata è cresciuta rapidamente raggiungendo il quarantacinque per cento nel dicembre 2015. In un solo biennio e partendo da uno svantaggio storico imbarazzante, abbiamo raggiunto e superato i risultati al tempo raggiunti da città come Berlino (42%), Londra (34%), Vienna (33%), Madrid (17%), Parigi (13%). Purtroppo quella determinazione venne meno, dopo la fine della nostra amministrazione, e oggi invece di essere al 65% si è scesi al 40%.

L’inerzia nel superare Malagrotta non aveva consentito di pianificare e attuare un sistema che consentisse di mettere in sicurezza attraverso una rete di impianti pubblici la gestione dei rifiuti della Regione Lazio e della città capitale della Repubblica. Eppure era possibile, anche attraverso evidenti sinergie e possibilità di garantire efficienza ed economicità gestionali, evitando la migrazione dei rifiuti fuori dalla Regione Lazio con i relativi costi economici ed ambientali di trasporto.

Ho personalmente e ripetutamente insistito affinché il sistema impiantistico di proprietà regionale venisse riparato e reso più efficiente con un investimento dell’ACEA che non gravasse sulle tasse dei cittadini. ACEA, l’azienda comunale che gestisce i settori idrico ed elettrico ma anche i rifiuti,si era resa disponibile, ma per due anni ogni tentativo si è arenato sulle scrivanie della burocrazia della Regione Lazio, allora governata dal Partito Democratico.

Nell’aprile del 2015 presentammo la richiesta di autorizzazione per la realizzazione di un impianto di compostaggio con trattamento preparatorio e digestione anaerobica di cinquantamila tonnellate di rifiuti organici: il primo degli impianti che avevo promesso nella campagna elettorale del 2013 e il primo impianto di compostaggio della città di Roma. Se vi fosse stata la tempestiva autorizzazione da parte della Regione Lazio, la prima pietra sarebbe stata posta a Rocca Cencia entro il dicembre 2015 e oggi quell'impianto esisterebbe. Si sarebbe avviato il superamento del modello ereditato dal passato, tutto orientato a generare rifiuti da rifiuti, per alimentare discariche e inceneritori, in palese controtendenza con le indicazioni dell'Unione Europea.

Chi amministra non deve agire secondo ciò che gli conviene in quel momento, ma deve creare una prospettiva per le generazioni future. Io pensavo alla Roma del 2030 e ai nostri figli, piuttosto che al consenso del 2014. Abbiamo camminato sulla strada giusta per la città e non su quella più facile.

Con analoga lungimiranza occorre smettere di favorire il privato nei trasporti urbani. Per decenni si sono smantellati chilometri di rotaie per i tram per favorire la vendita dei mezzi su gomma. Oggi si dovrebbero ripristinare i tram in modo da offrire un’alternativa al trasporto privato sulla propria auto o sulla propria moto. Roma è la città con il maggior numero di veicoli a motore di tutto il continente europeo: 842 mezzi privati ogni 1.000 abitanti a Roma (250 a Parigi, 360 a Londra).

In 28 mesi di governo completai 17 nuovi km di metropolitana inaugurando la linea C. Al mio insediamento la cosiddetta talpa, il gigantesco mezzo meccanico che scava sottoterra per costruire metro dopo metro la galleria, era ferma e smontata. Nei primi 365 giorni di attività la linea C ha trasportato una media di 50.000 passeggeri al giorno, per un totale che si avvicina ai 10 milioni.

Se esiste la volontà, il cambiamento può avvenire. La drammatica verità, però, è che allo stato attuale, a oltre un quarto di secolo dalla sua ideazione, non si conoscono né i tempi di realizzazione, né i costi della metro C e neanche il suo tracciato finale che lo Stato, insieme alla Regione Lazio e al Comune di Roma, dovrà prima o poi indicare.

Due elementi hanno continuamente prevalso sull’interesse pubblico: l’interesse privato e una colpevole superficialità pubblica.

Mi spiego meglio con un esempio. Se a Londra, o in un’altra città, una stazione della metro passasse nei pressi di una linea ferroviaria urbana gli amministratori pubblici si sarebbero premurati di mettere le due linee di trasporto su ferro in connessione, ad esempio con un tunnel da percorrere a piedi o con nastri trasportatori di persone. Ipotesi di funzionalità di questo tipo non sono state assolutamente prese in considerazione a Roma nel progetto della metro. La linea metropolitana C in una delle stazioni che la mia amministrazione è riuscita a consegnare, la stazione di un quartiere noto e popolatissimo, il Pigneto, dista poche centinaia di metri da una linea ferroviaria che attraversa lo stesso Pigneto. Nessuno ha pensato di creare un collegamento tra questi due snodi che sarebbe stato utilissimo. Per realizzarlo sarebbe servito un nuovo progetto ed è per questo che la nostra Giunta, con la firma dell’assessore Guido Improta nel dicembre 2014 ha siglato un accordo con Rete Ferroviaria Italiana per permettere l’interscambio tra la metro C e le linee ferroviarie Orte-Fiumicino e Viterbo-Roma Ostiense. I lavori sarebbero dovuti cominciare nel 2016 ed essere completati nel 2017.

L’idea era di rendere sempre più facile spostarsi in città con il treno e la metro. Per questo io stesso ho insistito molto perché facesse parte dell’accordo con la rete Ferroviaria Italiana anche il completamento dell’anello ferroviario nella parte Nord di Roma con la riattivazione delle gallerie tra Vigna Clara e Valle Aurelia, inaugurate durante i mondiali di calcio del 1990 e chiuse, dopo pochi giorni, per i successivi trentatré anni. Una vicenda incredibile. Per la Coppa del Mondo di Calcio Italia ’90, fu inaugurato un tratto di ferrovia tra Vigna Clara e Valle Aurelia che fu utilizzato per soli otto giorni dai treni speciali che da Roma Tiburtina portavano gli spettatori allo stadio Olimpico. Ripristinare questo collegamento permetterebbe di connettere il quadrante Nord della città alla Ferrovia Regionale che da Roma Ostiense attraversa la Capitale con importanti stazioni, come San Pietro, Trastevere, gli ospedali Policlinico Gemelli e San Filippo Neri, per raggiungere Cesano, Bracciano e Viterbo. I vantaggi sono facilmente immaginabili. Una persona che dalla Balduina o da corso Francia vorrà raggiungere il quartiere Ostiense lo potrà fare su un treno urbano in quindici minuti, leggendo e ascoltando con le cuffiette la musica dal proprio cellulare, invece che in oltre sessanta minuti di stress nella propria automobile. Oppure potrà salire in treno a Vigna Clara, cambiare a Valle Aurelia, salire sulla metro A e arrivare comodamente a Cinecittà.

Volevo davvero fortemente rafforzare il trasporto su ferro nel quadrante nordoccidentale della città per il completamento dell’anello ferroviario, opera di cui si parla dal 1913, servono poco più di cinque chilometri di nuove rotaie e un nuovo ponte sul Tevere. Si tratta di un obiettivo che rivoluzionerebbe tempi e certezze negli spostamenti di milioni di persone.

In realtà esiste anche un altro problema: il colpevole sotto-finanziamento del trasporto pubblico di Roma rispetto ad altre metropoli italiane. Alcuni numeri descrivono la situazione meglio di tante parole. I soldi per i trasporti pubblici a integrazione del costo del biglietto, che in Italia è mantenuto al di sotto del costo reale del servizio, derivano dallo Stato attraverso il Fondo Nazionale Trasporti. Il Lazio riceve dallo Stato circa 576 milioni di euro all’anno, la Lombardia 853. Roma ha un territorio di 1.285 chilometri quadrati, Milano 703. Nell’anno 2014 Roma ha ricevuto dalla Regione Lazio140 milioni di euro, mentre la Regione Lombardia ha destinato a Milano più del doppio,285 milioni di euro. La sproporzione è evidente e risalente.

Addirittura, il finanziamento destinato a Roma al momento in cui fui eletto sindaco era pari a zero euro. Eppure Roma non solo è la città più estesa d’Italia, ma è anche capitale politica, religiosa, culturale.

Come era possibile che i diversi livelli di governo, nazionale, regionale e comunale si fossero disinteressati di Roma al punto di non finanziare autobus, tram e metro?

Ero e resto convinto che la soluzione debba essere strutturale: Roma ha diritto di avere una quota del fondo nazionale per il trasporto pubblico. Per questo proposi ad alcuni senatori di scrivere una norma da inserire nella legge di stabilità del 2014 e risolvere per sempre il problema: Roma avrebbe avuto ogni anno quanto le spettava per far funzionare autobus, tram e metro senza doversi presentare con il cappello in mano dinanzi al presidente della Regione Lazio per ottenere ciò che le leggi prevedono ma non garantiscono.

Convocai una riunione con il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, l’assessore ai trasporti di Roma Guido Improta e il presidente della commissione trasporti della Camera dei Deputati Michele Meta per informarli. Vennero in Campidoglio nell’autunno del 2013 e quando proposi di modificare le modalità di finanziamento dei trasporti di Roma con uno stanziamento diretto dello Stato, senza la Regione come intermediario, la riunione divenne molto tesa per la netta opposizione di Nicola Zingaretti, che preferiva non cambiare nulla e lasciare che le somme transitassero dallo Stato alla Regione e dalla Regione al Comune, e l’imbarazzo di Michele Meta che suggerì una non meglio precisata soluzione politica.

Ne rimasi frustrato e incredulo: possibile che nessuno comprenda quanto sia strategico per una città come Roma, e quindi per tutta Italia, un adeguato trasporto pubblico?

Mi fidai delle loro parole e della promessa di affrontare e risolvere il problema dei flussi di denaro dalla Regione al Comune nel settore dei trasporti entro la primavera del 2014. Sbagliai: tutto ancora oggi è rimasto immutato.

Voglio concludere scrivendo brevemente di un'altra enorme questione: la complessità di una città capitale che ospita, oltre alle istituzioni centrali della Repubblica, lo Stato del Vaticano, decine di realtà internazionali, centinaia di ambasciate, migliaia di istituzioni culturali e politiche, un patrimonio artistico immenso che attrae visitatori da tutto il pianeta. Studiando questi argomenti con Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, e sir Edward Lister, vicesindaco di Londra, appresi che Parigi riceve una somma aggiuntiva che sfiora il miliardo di euro e Londra quasi due miliardi di euro all’anno per le loro rispettive funzioni di capitale.

Nel 2014 indicai un percorso di ripensamento, affrontato con metodo: analisi dei costi aggiuntivi per la pulizia della città, straordinari per le forze di polizia locale, impatto sui mezzi del trasporto pubblico e altri indicatori misurabili. Un lavoro che ha aperto per Roma un capitolo di programmazione economica basata su esigenze reali e condizioni finanziarie esistenti. Ottenni che nella legge di stabilità votata nel 2014 fosse inserita, per la prima volta, una voce che riconosceva a Roma i costi di capitale della Repubblica. L’importo, pari a 110 milioni l’anno, è assolutamente insufficiente, dati i nostri calcoli che tra trasporti, ambiente, polizia locale e viabilità, stimavano i costi aggiuntivi in almeno 400 milioni di euro. Ma almeno il principio venne riconosciuto in una legge.

Resto convinto che il Comune di Roma dovrebbe alleggerirsi di proprietà e aziende che potrebbero essere affidate all’iniziativa privata (centrale del latte, un centro fiori, un centro carni, una compagnia di assicurazioni, quasi cinquanta farmacie, gli affitti di centinaia di appartamenti residenziali, partecipazioni spesso minuscole in aziende prive di senso strategico per il bene comune della città). Al contrario la raccolta e il riciclaggio dei rifiuti sono una missione cruciale che deve essere condotta da un’amministrazione pubblica romana forte e competente.

Roma non è condannata dal fato. È governabile e proiettabile nell'ambito delle metropoli moderne. È necessario che tutta la classe dirigente comunale sia più autonoma e responsabile. Serve che la politica e le istituzioni nazionali non difendano lo status quo. Occorre che i poteri civili e religiosi, finanziari e imprenditoriali, non portino avanti esclusivamente i propri interessi, ma che si sottomettano al progetto di bene comune scelto dai cittadini al momento delle elezioni democratiche dell’amministrazione capitolina e dei suoi municipi.

Ignazio Marino

(da Filadelfia
11 dicembre 2023)

La foto del post è tratta da https://x.com/ignaziomarino/status/1717220983784763697?s=20

 

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Raccolta firme per Siciliani Liberi

San Lorenzo, 10 agosto 2022

Le elezioni regionali siciliane si svolgeranno lo stesso giorno delle elezioni politiche, domenica 25 settembre 2022. Autonomie e Ambiente sostiene l'importante sforzo politico, organizzativo ed elettorale della forza sorella Siciliani Liberi, che sta raccogliendo le firme per presentarsi in tutte e nove le circoscrizioni siciliane e per candidare alla presidenza della regione autonoma l'intellettuale e attivista Eliana Esposito. Rilanciamo qui alcune parole scritte dalla candidata presidente alcuni giorni fa:

Ho accettato di candidarmi alle regionali consapevole di tutte le difficoltà, consapevole degli ostacoli, delle polemiche, degli attacchi gratuiti. Ho accettato perché credo nella nostra causa e credo che l'autosufficienza alimentare, economica, energetica, monetaria e l'indipendenza politica della Sicilia siano la soluzione a tutti i nostri problemi. Ho accettato perché abbiamo un progetto così valido che può diventare un modello anche per i popoli delle altre regioni d'Italia e del mondo. Ho accettato perché deve essere il coraggio a guidarci e non la paura di non entrare all'Ars o la paura che il nostro progetto possa non essere compreso.
Del resto, chi vota per gli altri non potrebbe votare per noi. Per noi possono votare quelli che sono pronti a lasciare andare i vecchi schemi, le vecchie dinamiche, la vecchia mentalità, la vecchia politica, per noi possono votare quelli che hanno una visione nuova, quelli che non hanno nessuna intenzione di accontentarsi, quelli che non sono disposti a rinunciare a nessun articolo dello Statuto, quelli che non hanno paura di un insuccesso. Per noi possono votare i siciliani veramente liberi da ogni impegno o bisogno o attaccamento o paura. Qualunque cosa accada, il cambiamento è già in atto e noi dobbiamo avere solo il coraggio di assecondarlo.
Che i siciliani siano i pionieri di una nuova visione di umanità, che la Sicilia sia il luogo da cui questa visione parta. Che sia l'amore a fomentarci e non l'odio, che sia la saggezza ad animarci e non il tornaconto personale, che sia questa visione di bellezza il nostro motore e non le nostre egoistiche visioni, che sia il cuore ad armarci e l'anima a illuminarci. Che sia "il coraggio il nostro signore".
Stiamo con le radici ben piantate a terra ma consapevoli del fatto che solo chi ha il coraggio di sfidare l'impossibile può riuscire nell'impresa di realizzarlo. Solo i visionari possono cambiare il mondo. E se non noi, vorrà dire che stiamo lavorando per preparare la strada a quelli che verranno dopo di noi. Procediamo sicuri e fiduciosi con la Sicilia nel cuore.
Antudo

Note: L'ARS è l'Assemblea regionale siciliana, il parlamento dell'isola; ANTUDO è l'acronimo di "Animus Tuus Dominus" (il coraggio sia il tuo signore), motto storico di rivolta in Sicilia, sin dai tempi dei Vespri.

Per seguire e sostenere i Siciliani Liberi: https://www.sicilianiliberi.org/

Su Telegram seguite il canale del professore Massimo Costa, economista e intellettuale di grande rilievo, fondatore e mentore del movimento Siciliani Liberi:

https://t.me/massimo_costa

Radici, fallimento, riscatto per l’autogoverno della Sardegna (e non solo)

  • Autore: Claudia Zuncheddu (con un omaggio a Eliseo Spiga) – Cagliari, domenica 4 giugno 2023

La dottoressa Claudia Zuncheddu è animatrice della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica (la foto di Giampaolo Cirronis la riprende in una manifestazione del settembre '22) e punto di riferimento del decennale cammino del movimento Sardigna Libera. E' impegnata qui nel Forum 2043 per immaginare i "paesi nuovi" da lasciare alle generazioni future sin dall'inizio dei nostri lavori. Nel quadro di un lungo, delicato, rispettoso, inclusivo dialogo tra forze, gruppi, persone attive nella politica sarda, si è associata al progetto di Autonomie e Ambiente. Questo scritto è anche quindi, non casualmente vista la sua storia personale e la scelta radicale fatta in proposito da AeA, un'appassionata difesa della sanità pubblica, proprio attraverso  processi di autodeterminazione concreta in materie cruciali come acque, energie, cibo, salute. Contiene, infine, un omaggio alla bella figura di Eliseo Spiga: scrittore e politico sardo (nato ad Aosta nel 1930 da genitori sardi migranti e morto a Casteddu nel 2009) che non deve essere dimenticata.

Radici, fallimento, riscatto per l’autogoverno della Sardegna (e non solo)

Claudia Zuncheddu – Cagliari, domenica 4 giugno 2023

Se oggi siamo costretti a commentare gli espedienti retorici di Calderoli e Salvini sull’autonomia differenziata, mentre al potere è andato il governo più centralista della storia della Repubblica italiana, significa che la situazione è davvero grave.

Il ministro delle “porcate” fa quello che ha sempre fatto, ma noi? Noi possiamo attardarci, sulla difensiva, di fronte a processi politici che ormai da un ventennio disconoscono e svuotano tutte le autonomie, quelle personali, quelle sociali, quelle territoriali, preparando le condizioni per esaltare il centralismo autoritario?

Non perdiamo tempo accanto a coloro che, non sapendo come opporsi alla deriva populista, si attardano a discutere delle iniziative del leghismo salviniano, senza capire che quell’autonomia differenziata non si realizzerà mai, mentre il presidenzialismo e altre forme, ancora più opache, di centralismo avanzano.

A questo punto potremmo dire che noi indipendentisti, localisti, autonomisti, convinti sostenitori di forma avanzate di autogoverno e di confederalismo europeo, siamo costretti a mobilitarci contro il rischio che… Vengano minate le fondamenta di questa Repubblica italiana delle Autonomie e di questa Unione Europea disfunzionale. E’ un paradosso? Fino a un certo punto!

Noi che siamo sardi dovremmo aver chiaro, prima di tanti altri territori italiani ed europei, che cosa significa vivere sotto uno Statuto speciale di Autonomia e una Costituzione, carte tradite dal 1948.

Tutti i processi neocolonialisti, tesi a distruggere la nostra identità e la nostra economia locale, si sono solo accelerati, dopo l’avvio dell’ultima globalizzazione, quella del “Washington Consensus”. Dall’Unione Europea, peraltro contro i principi fondamentali dei trattati, sono arrivati capitalisti avventurieri, attacco ai beni comuni, austerità. Dalle rivolte cosiddette “anticasta”, in realtà solo antipolitiche e quindi anche, fondamentalmente, antidemocratiche, abbiamo avuto la contrazione degli spazi di partecipazione e agibilità politica, la scomparsa di fonti trasparenti di finanziamento pubblico dell’attivismo politico, il taglio dei consiglieri comunali, il taglio dei rappresentanti in consiglio regionale, il taglio dei parlamentari (il tutto, ovviamente, con il contemporaneo incistirsi di leggi elettorali ingiuste che discriminano ancor più le minoranze politiche presenti nella tradizione sarda).

Il risultato è, non solo per la Sardegna ma per tutti i territori, che sui media regna una cappa di grigio pensiero unico, le élite sono sempre più oligarchiche, l’alternanza fra i sedicenti “centrosinistra” e “centrodestra” corrisponde sempre più a un gioco delle parti, in una sostanziale continuità delle politiche.

Eppure le popolazioni non sono completamente domate.

Respinsero la disgraziata proposta di riforma costituzionale centralista Boschi-Renzi-Verdini nel 2016. E’ fallita, per mancanza di cultura democratica e autonomista, la protesta populista dei Cinque Stelle. E’ iniziata la parabola discendente del salvinismo e dei suoi decreti sicurezza. La deriva centralista, con l’espropriazione delle competenze territoriali, è tuttora in corso con il Piano di Colao (uomo alla guida della “task force” di Conte e poi ministro del governo Draghi), ma ha il fiato corto. Spogliare i sindaci di responsabilità, risorse, competenze, in materie come la sanità, l’ambiente, l’emancipazione degli ultimi, significa abbandonare queste materie, che hanno bisogno, per loro natura, di essere portate avanti territorio per territorio da autorità locali forti e autorevoli.

A proposito di sanità, vale la pena di ricordare che siamo in piena emergenza. In Sardegna dal 2006, a seguito di un accordo stato-regione, mai equamente onorato dal governo centrale, i costi della sanità sono a carico delle casse sarde con pesanti ricadute sull’economia locale e sulla salute dei Sardi.

La Sardegna è in testa per la mortalità e per la rinuncia alle cure. I pochi medici sardi sono sottopagati e demotivati. Fiumi di malati, che ne hanno la possibilità, vanno a curarsi altrove, arricchendo ancor più le regioni già ricche e le loro avide sanità private. Un fenomeno questo che non risparmia le risorse pubbliche, depauperate per curare numerosi malati in strutture convenzionate, nelle solite regioni opulente.

Per il taglio dei posti letto la Sardegna perde non solo importanti scuole di specializzazione, ma rischia persino la chiusura della Facoltà di Medicina. Neppure i LEA (livelli essenziali di assistenza), imposti dallo stato, a differenza di altre regioni, vengono rimborsati alla Sardegna.

Non stiamo parlando, sia chiaro, di una maledizione biblica che colpisce la Sardegna, ma di un processo generalizzato di svuotamento dell’assistenza sanitaria pubblica in tutte le realtà marginali, le cui conseguenze sono drammatiche nella maggior parte dei territori della Repubblica e anche in molte periferie d’Europa e della globalizzazione.

Da noi è tutto più esacerbato, per via della nostra condizione insulare e per il plateale tradimento di quello che dovrebbe essere uno statuto di autonomia speciale.

La fragilità e l’insicurezza sono la condizione esistenziale a cui ci hanno relegato le politiche centraliste. Allo spopolamento dei nostri paesi e all’abbandono delle campagne lo Stato e la Regione rispondono con la chiusura dei servizi pubblici: scuole, sanità, trasporti. Le regole europee e italiane di austerità e sostenibilità si risolvono in scelte di darwinismo sociale, una impropria selezione in cui sopravvivono i servizi pubblici nelle regioni di più alta densità demografica ed economica, a scapito di quelle che si stanno spopolando e impoverendo.

Tutte le economie locali e tutti i legami sociali sono sotto l’attacco della globalizzazione, delle agende centraliste e conformiste provenienti dall’Europa e dallo stato italiano. In Sardegna è tutto esasperato dalla marginalità geografica e dalla gracilità demografica. In 304 comuni sardi su 377, i decessi superano le nascite. La fuga verso le città (del continente) decreta la morte dei piccoli centri e di ogni speranza.

Fallace è anche la convinzione che lo spazio urbano, anche quello di Cagliari e degli altri pochi centri maggiori della Sardegna, possa essere luogo di incontro, relazioni, innovazione, men che meno agorà democratica o culturale.

L’urbanizzazione è selvaggia anche in un territorio povero come il nostro, anzi forse di più.

Ai ceti poveri, anche nelle piccole città della Sardegna, sono riservate periferie degradate dove le persone sono più sole, più fragili, più ricattabili, più assoggettabili al clientelismo della politica neocolonialista. Crescono sacche di disagio sociale che sono serbatoio di voti indispensabili per la conservazione delle attuali élite al potere.

La nostra speranza è nel distacco dagli schemi dell’attuale disumanizzazione e la riscoperta del comunitarismo proprio della nostra cultura millenaria.

Mentre riprendiamo nelle nostre mani il nostro destino, viene spontaneo un omaggio a Eliseo Spiga. Nel 1998, nel suo romanzo “Capezzoli di pietra“, emerge il suo grido contro un urbanesimo che non è fatto per noi e per quest’isola: “Da noi sovrana è la comunità e il nuraghe è simbolo e scudo della sovranità comunitaria. Noi non costruiamo città ma villaggi. La città è ostile alla terra agli alberi agli animali e inselvatichisce gli uomini, pretende tributi insopportabili per accrescere la sua magnificenza. In essa, i topolini che rodono la mente trovano pascoli lussureggianti per ingigantirsi: ambizione e voglia di potenza, invidia avarizia e brama di ricchezze superflue, slealtà odio e inimicizia verso i fratelli. La città crea specie che noi nuragici detestiamo, come i funzionari del tempio e del sovrano, i servi e gli schiavi. Ci porta un mondo di guerre insensate in cui ogni città combatte contro le altre per dominio e superbia“.

Noi, come popolo, dobbiamo rifiutare di essere deportati in periferie disumane. Come isola della bellezza, dobbiamo impedire di essere sfigurati dalla cementificazione. Non ci interessa di essere considerati “retrogradi” o “superati”.

Fra i tanti misteri della nostra cultura nuragica, gli addetti ai lavori una certezza ce l’hanno: non erano concepite concentrazioni urbane, ma piuttosto migliaia di villaggi nuragici sparsi in tutta la Sardegna, che suggeriscono una società fondata sulla cultura comunitaria e sull’equilibrio con la natura.

Cosa c’è di più antico e così nuovo, quindi, se non riappropriarci della nostra autonomia individuale e collettiva, cioè del nostro autogoverno?

L’autonomia speciale della Sardegna è sin qui fallita, anche perché, nelle illusioni del consumismo e di un malinteso progresso, essa è rimasta ostaggio di dispotici ascari del centralismo italiano, europeo, atlantico.

Oggi, grazie alla riscoperta, su scala europea, dei valori della Carta di Chivasso e della necessità di un nuovo confederalismo dal basso, possiamo rilanciare. Stavolta non in solitudine, ma insieme ai movimenti civici, ambientalisti, autonomisti degli altri territori della Repubblica italiana e dell’Unione Europea, attraverso il lavoro politico, culturale, elettorale di Autonomie e Ambiente.

E’ tempo di tenere fermi i principi e di portare avanti le lotte in cui abbiamo sin qui creduto: dalla resistenza contro la militarizzazione, alla rivolta contro l’inquinamento, alla difesa della salute di comunità e in prossimità, a tutte le nostre iniziative contro il neocolonialismo e contro lo spopolamento.

Dobbiamo dimostrare fermezza, proprio ora che alcuni giovani stanno infine tornando in Sardegna, portando con sé una salutare disillusione, dopo che hanno visto con i loro occhi le crisi degli eccessi neoliberisti.

Possiamo spezzare i processi che ci stanno spopolando e distruggendo e tornare a vivere in armonia con la nostra terra e con i nostri valori più antichi, da cui la società consumistica e capitalistica ha tentato di sradicarci… Non è troppo tardi.

Da quando Eliseo Spiga nel 2000 pubblicò il suo “Manifesto della gioventù eretica e del comunitarismo“, che volle firmare insieme al poeta Francesco Masala e al filosofo Placido Cherchi, è passato un quarto di secolo in cui le grandi macchine livellatrici della globalizzazione si sono inceppate più di una volta.

Le loro pretese di dominio universale si stanno arenando di fronte ai problemi dell’ambiente, all’impossibilità di nutrire e curare il mondo con i prodotti delle multinazionali, agli inaccettabili rischi della guerra infinita, all’imprevedibilità delle aspirazioni dei popoli del mondo.

La nostra riscossa, il nostro recupero di “sardità”, non è in ritardo e, forse, non è più nemmeno in anticipo.

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Siciliani votate per Siciliani Liberi

 

 

 

The Siciliani Liberi (Free Sicilians) political movement, SL, represents a decent, ancient, profound anti-colonialism of the largest island in the Mediterranean.

SL is the voice of those who resist decades of internal colonialism, depopulation, resource extraction, a scary decline for which Italian State’s centralism is responsible.

SL is the choice of those who demand a return to the letter of the Statute, which established a full self-government status of Sicily.

SL is the political tent of those who intend to work, with competence, moderation, realism, for a local economy capable of full water, food and energy self-sufficiency, as well as for the protection of the Sicilian environment and culture for future generations.

SL is the political umbrella for all citizens who still believe in personal, social and territorial autonomies, after having rejected the excesses of authoritarian centralism and, in particular, the infamous “greenpass”
(a sinister foretaste of universal surveillance and discrimination).

Sicilians, do not let yourself be gaslighted either by long-time politicians or by void, populist, centralist slogans.

Do not waste your vote!

Now it is time to vote

 

Il movimento politico Siciliani Liberi, SL, rappresenta un dignitoso, antico, profondo anticolonialismo dell'isola più grande del Mediterraneo.

SL è la voce di chi resiste a decenni di colonialismo interno, spopolamento, estrazione di risorse, un pauroso declino di cui è responsabile il centralismo dello Stato italiano.

SL è la scelta di chi pretende un ritorno alla lettera dello Statuto, che sanciva un pieno status di autogoverno della Sicilia.

 SL è la tenda politica di chi intende operare, con competenza, moderazione, realismo, per un'economia locale capace di piena autosufficienza idrica, alimentare ed energetica, nonché per la tutela dell'ambiente e della cultura siciliana per le generazioni future.

SL è l'ombrello politico per tutti i cittadini che credono ancora nelle autonomie personali, sociali e territoriali, dopo aver rifiutato gli eccessi del centralismo autoritario e, in particolare, il famigerato “greenpass” (un sinistro assaggio di sorveglianza e discriminazione universali).


Siciliani, non fatevi abbagliare né da politici di lungo corso, né da slogan vuoti, populisti, centralisti.


Non sprecate il vostro voto!

Ora è tempo di votare

SICILIANI LIBERI

https://www.sicilianiliberi.org/
Candidata presidente: Eliana Esposito - https://twitter.com/ElianaEspositoS
Candidato vicepresidente: Massimo Costa - https://t.me/massimo_costa

Per sostenere la campagna di Siciliani Liberi per le elezioni regionali 25/09/2022
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